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Quando Carli inizia a dipingere siamo nella seconda metà degli anni ’70 e la sua maggiore produzione si colloca principalmente nei primi anni ’80, fino alla sua scomparsa nel ’90.

L’esperienza dolorosa del campo di internamento e della guerra, i ricordi e i sogni infranti di una giovinezza consumata nella prigionia si traducono in poesia e prosa prima, e poi, quando queste iniziano a comportare certe forme di mondanità e forse di compromesso, a lui poco congeniali per carattere e esperienze di vita, la sua voce diventa il colore.

La pittura, esperita in modo privato, quasi intimo, per Carli diviene nuovo campo fertile di sperimentazione, a volte anche con precise citazioni dei grandi dell’arte del Novecento e dei precursori di fine Ottocento, ma sempre trovando una sua personalissima e originale cifra stilistica. Ha utilizzato tecniche, materiali e generi diversi e ripercorso differenti movimenti artistici sempre, però, scegliendo il “medium emotivo della pittura”.

Che scelga di rappresentare il soggetto espressionisticamente o in modo più attinente alla realtà o che si abbandoni al caso-necessità della pittura informale, l’artista elegge sempre modelli espressivi legati all’atto pittorico, inserendosi perfettamente, anche se molto probabilmente in modo inconsapevole, nell’esplosivo “ritorno alla pittura” che caratterizza almeno la prima metà degli anni ’80 del Novecento. La pittura, infatti, in quel momento, andava contrapponendosi all’utopia concettuale con una rinnovata percezione emotiva e quindi anche con una forma espressiva sicuramente più “tradizionale” ma certamente senza tempo.

Altro elemento che inserisce Carli nelle tendenze a lui contemporanee è l’aderenza, citando lo storico Renato De Fusco, alla “linea dell’espressione”. Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, infatti, è ormai evidente il fallimento dell’idea d’avanguardia dei decenni precedenti, con l’esplosione altresì di movimenti di matrice intrinsecamente neoespressionista, sotto la quale convergono in maniera diversa, Espressionismo dell’avanguardia storica, Espressionismo Astratto, Action Painting ed Informale. Allo stesso modo il lavoro di Carli è permeato dalla resa espressionista: il disegno e il colore sono liberati dagli obblighi della fedeltà al visibile e diventano i tramiti di puri flussi di emozioni che nascono da esperienze interne così come dagli stimoli che l’artista riceve dal mondo esterno, dalla natura. Carli lavora su motivi e soggetti della tradizione (paesaggio, ritratto, natura morta), ma ciò che gli interessa è lo “choc poetico” che essi creano in lui, la sensazione immediata, rapida, emotivamente diretta, che la visione suscita nel suo animo, non è la semplice riproduzione del dato visivo.

Egli ha ricercato, al pari degli espressionisti, forme che potessero esprimere la reciproca compenetrazione dell’esperienza del mondo interiore e di quello esteriore, forme liberate da tutto ciò che è accessorio per esprimere ciò che essenziale fino ad arrivare agli esiti più estremi  dell’astrazione (superamento di ogni riferimento al sensibile in favore di un’arte “in cui si possa trovare il senso dello spirituale, la magia della natura, a prescindere dalle sue forme”). In alcune opere di Carli, infatti, la tendenza all’astrattismo è molto forte e richiama certamente Kandinskij e più in generale il gruppo di Monaco del Blaue Reiter: Franz Marc, Auguste Macke, Gabriele Münter, per l’uso del segno, del colore e della composizione e per gli stessi elementi, ricorda lo spagnolo surrealista Joan Mirò.

Altri modelli, più o meno ravvisabili, sono, oltre quelli appena citati, i cosiddetti postimpressionisti, precursori delle prime avanguardie: Cezanne, Van Gogh e in particolare Gauguin con il suo linearismo e le sue campiture monocrome e ancora la drammaticità esistenziale di Munch; i Fauves: Matisse, ed anche André Derein, Albert Marquet, Maurice Vlamink, Kees van Dongen e Georges Rouault; gli artisti della Brücke: Ernst Ludwig Kirchner, Emile Nolde, Max Pechstein (che Hitler aveva definito come appartenenti ad un Arte degenerata).

In Italia, Carli guarda sicuramente ai conterranei: a Filippo De Pisis per il colorismo e l’evocazione poetica del paesaggio e a Silvan Gastone Ghigi, quest’ultimo amico del fratello e frequentatore della sua casa. Punti di contatto si riscontrano anche con gli esponenti di quello che possiamo definire l’espressionismo italiano nel movimento di Corrente in particolate Migneco e Guttuso, ma anche Birolli e Cassinari, e nei Ribelli o Primi espositori di Ca’ Pesaro (Gino Rossi, Tullio Garbari, Umberto Moggioli).

Un’altra sperimentazione attuata da Carli e sempre nella linea dell’espressionismo riguarda la Pittura Informale, non tanto nel suo versante europeo, benché in L’albero degli occhi sia ben chiaro come conoscesse Jean Fautrier e i suoi Otages, quanto nella sua variante d’Oltreoceano dell’Espressionismo Astratto, della cosiddetta Action painting di Pollock e della Scuola di New York con richiami anche in opere come Alcool a Willem De Kooning, e forse anche di più nella variante della Scuola del Pacifico impersonata da Mark Tobey.

Il mio parere è che sia per i formati non eccessivamente grandi delle tele e in alcune opere come Cavallucci Marini o Acquario sia per lo stile più propriamente calligrafico, Carli si avvicina molto più a Tobey, ma in altre opere come La Diva del muto, Il grande nudo in fiamme, Cavallo in fuga (che fa pensare a certe pitture rupestri di Lescaux e Altamira) è indubbia la vicinanza ai  dripping di Pollock: opere che nascono da un processo del fare piuttosto che da un progetto a monte (relazione tra il caso e l’insita necessità del divenire).

Per concludere le impressioni sulle coordinate stilistiche di Carli vorrei far notare, ricollegandoci ancora al discorso del “medium emotivo della pittura”, che action painting, dripping, tachisme, informale sono stati considerati da molta critica l’ultimo effettivo filone della pittura fatta col colore.

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