Nelle opere dei Andrea Carli, mi sembra di poter individuare tre differenti stili, tutti, comunque, interpretati con autonomia e maturità, ovvero tre fasi stilistiche distinte del Carli: la già cennata pittura gestuale (l’action painting), ovvero l’informale (nella sua eccezione più vasta), la fase dell’espressionismo (fase già figurativa e più realistica) ed il figurativismo vero e proprio (con i ritratti che, mi paiono, i più tardi e completi).
Mi sembra, tuttavia, di poter dire che anche le opere che contengono un richiamo, più che ad una corrente pittorica, ad uno specifico pittore, o, addirittura, ad uno specifico quadro, sono, comunque, interpretati dall’Autore con padronanza sia dell’ispirazione, sia del soggetto, che del gesto tecnico.
Certamente in tali quadri l’ispirazione è direttamente derivante dallo stile di altri pittori, ma la reinterpretazione del soggetto mi pare mai banale: penso ad “Autoritratto di Arlecchino” che, come evidente, rimanda ai volti di Picasso senza rinunciare né al segno proprio di Carli (la pennellata lunga e molto tirata tipica del Suo informale), né alle masse pittoriche, alle stesure del colore omogeneo; ovvero il quadro rimanda, nella composizione del soggetto, alla concezione spaziale di De Chirico (concezione solo evocata e non meramente riprodotta); penso a “Madonna un volto”, ovvero “Spia” o “La ballerina incinta” che rimandano allo stesso Picasso; al “Ragazzo che urla” che rimanda, evidentemente, all’ “Urlo” di Munch (ma che, comunque, nella pennellata rapida, solo accennata e, tuttavia, dal colore pulito, ha un suo senso tragico del tutto autonomo); penso a “Un volto in Sardegna” che richiama, per il gesto tecnico, la pennellata ed i colori usati i soggetti di Mirò; penso a “Tulipani” e “Fiore” che ricordano soggetti e pitture di Donald Baecheler).
Andrea Carli ha un duplice canone interpretativo.
Il primo. I quadri di Carli non sono figurativi (nel senso banale di realistici, ovvero non mirano a riprodurre la realtà nemmeno nei tratti selezionati dall’Artista) e neppure richiamano (né per stile né per il concetto che presuppongono) la pittura impressionista (nel senso che non mirano a riprodurre una realtà oggettiva, seppur interpretata, resa soggettiva, dalla percezione del pittore).
Nemmeno mi paiono – i quadri di Carli – richiamare il paesaggismo tanto comune in Italia (si pensi al laboratorio veneto di fine ottocento).
I soggetti, quelli sì, sono della tradizione (anche impressionista), ovvero tipici della pittura italiana degli anni ’20-’40, dalle piazza, ai volti alle nature morte.
Se proprio si deve individuare un tratto dominante, mi pare di poter dire che i quadri di Carli sono, in prevalenza, espressionisti, nel senso, più autentico, del richiamo dei temi propri della pittura italiana espressionista (Guttuso e Migneco, soprattutto) e, dal punto di vista concettuale, del privilegio accordato al lato emotivo della realtà (rispetto a quello oggettivo, percepibile oggettivamente).
Come è noto, l’espressionismo proponeva una rivoluzione del linguaggio pittorico, contrapponendo (anche per contiguità storica) all’oggettività dell’impressionismo (seppur interpretata dal pittore) la sua soggettività.
In ciò l’originalità dell’espressionismo: la realtà non era riprodotta (nella pittura italiana espressionista) per la sua oggettività, ma come interpretata dall’autore ed a prescindere dalla corrispondenza ai dati sensibili.
Di qui la novità: anche la rappresentazione del paesaggio (il tema più caro alla pittura regionale italiana) poteva essere dominata, non dai riferimenti spaziali della realtà (dai dati oggettivi: la natura come ci appare, gli oggetti nel formalismo consueto, le proporzioni reali tra gli oggetti, i colori “naturali” ecc.), ma da quelli emotivi dell’autore, cioè quelli che emozionano il pittore e tradotti (resi pittoricamente) dall’emozione dell’autore (un oggetto particolare, un colore che rende lo stato d’animo del pittore a prescindere dalla corrispondenza alla realtà, la massa pittorica, il gesto tecnico del graffio sul colore, il tipo di pennellata, la sovrapposizione dei colori o dei piani del colore ecc.).
Per avere un’idea dell’espressionismo in Italia bisogna pensare a Renato Guttuso, Bruno Cassinari, Giuseppe Migneco, Aligi Sassu,Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova e Giacomo Manzù: si direbbe mai che sono autori che si limitano a rappresentare la realtà? Piuttosto (si pensi a Guttuso, o a Migneco) ciò che domina è l’idea che gli autori hanno della realtà, ovvero l’emozione che ne derivano, resa tramite l’assolutizzazione di un oggetto, di un colore, di un’atmosfera.
A volte basta ricordare (tramite un solo elemento) l’oggetto che si vuole rappresentare e, poi, rendere l’emozione dell’oggetto tramite il colore.
A questa semplificazione formale accede, a volte, anche il figurativismo (soprattutto quello italiano) che, a differenza dell’arte astratta, riguarda la rappresentazione di immagini riconoscibili del mondo intorno a noi, a volte fedeli e accurate, a volte altamente distorte (in Italia, tra gli altri, Piero Agnetti, Pietro Annigonio e Felice Casorati).
Figurative, in tal senso (cioè, più vicine alla realtà ed accurate nella rappresentazione della stessa) mi sembrano i ritratti di Carli che per qualità pittorica e padronanza della tecnica paiono le opere più tarde (e tra le più riuscite: “Autoritratto dopo operazione”; “Caterina”; “Ritratto di Fabio”).
Più propriamente espressionisti, invece, gli altri quadri (“Il torero”; “Bacio di venere al giovane tonno”; “Bambina con grande nastro rosa” (molto bello): “Impero dei sensi”; “La salute a Venezia” “La piazzetta di Venezia”; “Piazzetta a Venezia” (molto bello); “La salute”; “Irruzione del sole nella baia di alghero”; “Paesaggio sardo”; ovvero le nature morte: “Rose di Stintino”; “Fiori”; “Rose”; “Fresie in controluce”; “Composizioni”; “Stelle e dalie”; “Pic nic sotto la pioggia”).
Come si può vedere ciò che conta non è la realtà, ma ciò che percepisce (o meglio, sente) il Pittore; così scopo ultimo del quadro non è la riproduzione dell’oggetto, ma la riproduzione dell’emozione che suscita l’oggetto, ovvero la persona.
L’esempio è quello dei “Bracconieri” ove ciò che la tela trasmette è unicamente il senso di minaccia che deriva dalla coopresenza delle teste avvicinate dei bracconieri, ovvero la tonalità di rosso che, evidentemente, evoca l’emozione del sangue (altro non si distingue, la pennellata è confusa ed il soggetto solo accennato: anche da ciò il senso che ne deriva di velocità, clandestinità, fugacità); basta guardare la pasta del colore che trasmette l’idea della forza e della violenza.
Si pensi al quadro “Acquario” ove ciò che predomina è il senso di appartenenza data dall’acqua, ma nessuna forma è distinguibile (né un pesce, né uno scoglio, né un’alga): predomina solo l’azzurro e le forme sono abbozzate dalla pennellata veloce ed unitaria (a dare il senso della contiguità dell’acqua, del volume dell’acqua).
Si pensi al paesaggio veneziano “Venezia canal Grande”: anche il tal caso predomina l’emozione di abbandono trasmessa dal buio, dai volumi dell’acqua plumbea del canale, dai rossi ed arancioni del crepuscolo.
In altri termini, come si suole dire, si tratta di una pittura che parte da dentro (l’occhio della mente si diceva) per uscire fuori; si tratta di un moto (da dentro a fuori) esattamente opposto a quello della pittura impressionista che, nella trasfigurazione dell’immagine, rappresentava la realtà esterna che “impressionava” la percezione soggettiva dell’artista.
In questo, la modernità di Carli, nel aver riportato l’uomo a creatore del soggetto pittorico.
Il secondo (canone interpretativo). Carli sa disegnare e dimostra padronanza delle varie tecniche e dei vari materiali utilizzati e dei supporti.
Ciò non mi sembra secondario e qualifica la scelta espressionista (o figurativista) dell’Autore come libera e consapevole (e non necessitata da poca tecnica).
Come già detto, i quadri figurativi mi sembrano tutti molto belli e molto ben resi, sia per la scelta autonoma dei soggetti (anche per la posizione dei soggetti), sia per la qualità della pittura: il colore è ben steso, le masse pittoriche sono omogenee, i volumi sono realistici, il gesto è immediato e mai ripassato.
Per questo, come anticipato, i quadri citati (i ritratti) mi sembrano i più tardi (il discorso vale anche per le nature morte più propriamente figurative: “Fruttiera di natale” (molto bello); “Tavolo di pasticceria con grande ananas”).
Tuttavia, neppure la fase informale del Carli mi sembra dominata da un gesto pittorico casuale, o da tecnica approssimativa.
In tutti i quadri informali, infatti, mi sembra sempre di trovare, da un lato, un buon cromatismo e, dall’altro, una buona tecnica, vuoi nello stendere le varie masse di colore in modo uniforme, vuoi nel rendere le varie sovrapposizioni di colore senza sbavature, vuoi nel rendere le gocciolature in modo tecnicamente ineccepibile e con un’estetica veramente invidiabile.
Anche i quadri della fase informale, dunque, mi paiono adulti, sia nella selezione dei soggetti, che nella interpretazione delle immagini che nella tecnica utilizzata (si vedano: “Il grande nudo in fiamme”; “Allestimento del cavallo di Troia”; “Fantasia in bianco e marrone”; “Angelo”; “Cavallo in fuga”; “Il re triste”; “La chiromante”; “Cavallucci marini”; “La diva del muto”; “Donna senza volto”; “Donna nel vento”; “Acquario 2”; “Autoritratto con esplosivo”; “Ragazzo con cappello di carnevale”).
Ci sarebbe (molto) altro da dire…